Introduzione

1. Se non vi è nessuno che pensi di protestare contro l'affermazione generale secondo cui le teorie sono mortali e la scienza può progredire soltanto sulle proprie rovine, non è altrettanto facile far constatare ai rappresentanti di una teoria attuale la morte della teoria stessa. La maggior parte degli scienziati è formata di ricercatori i quali, essendo privi sia del senso della vita che di quello della verità, non possono lavorare se non si sentono sotto la protezione di principi riconosciuti ufficialmente: non si può chieder loro di riconoscere un'evidenza che non sia un qualcosa di dato, ma un qualcosa che deve essere creato. Infatti il loro ruolo storico è un altro: consiste nel lavoro di approfondimento e di sfruttamento; è per loro tramite che i «principi» possono emanare tutta la loro energia vitale; strumenti rispettabili della scienza, essi sono incapaci di rinnovarla come di rinnovare se stessi. Così, anche se riconoscono la mortalità di tutte le teorie, comprese le loro, ciò accade soltanto in astratto: il fatto che possa già essere arrivato il momento della morte è una cosa che sembra loro sempre inverosimile.

2. Accade così che gli psicologi siano scandalizzati quando si parla loro della morte della psicologia ufficiale, di quella psicologia che si propone di studiare i «processi psicologici», sia volendoli cogliere in se stessi, sia nelle loro concomitanti o determinanti fisiologiche, sia, infine, con dei metodi «misti».

Non si può certo dire che la psicologia sia in possesso di risultati fecondi e positivi tali che per metterli in dubbio bisognerebbe negare lo stesso spirito scientifico: si sa benissimo che, per il momento, esistono soltanto, da un lato, delle ricerche «perdute», e, dall'altro, delle promesse, e che bisogna ancora aspettarsi la soluzione di tutto da un misterioso perfezionamento che l'avvenire dovrà apportarci generosamente. Per di più non si può certo dire che esista fra gli psicologi, per lo meno riguardo a ciò che è già stato fatto, un accordo unanime, accordo che potrebbe scoraggiare in anticipo gli «energumeni»: si sa che la storia della psicologia da cinquantanni a questa parte non è altro che un'epopea di disillusioni e che, ancor oggi, vengono lanciati tutti i giorni nuovi programmi per dare un appiglio alle speranze ridiventate disponibili.

Se gli psicologi protestano, e se possono farlo con una certa apparenza di buona fede, è perché sono riusciti a trincerarsi in una posizione piuttosto comoda. Una volta soddisfatti i loro bisogni scientifici con il maneggio anche sterile degli apparecchi e con l'ottenimento di qualcuna di quelle medie statistiche che hanno l'abitudine di non riuscire a sopravvivere alla loro pubblicazione, essi proclamano che la scienza è fatta di pazienza, e respingono ogni controllo ed ogni critica col pretesto che la «metafisica» non ha nulla a che vedere con la scienza.

3. Questa storia di cinquantanni, di cui gli psicologi vanno così fieri, non è altro che la storia di una pozzanghera piena di rane. Gli psicologi, incapaci come sono di scoprire la verità, aspettano tutti i giorni che qualcuno o qualcosa la porti loro bell'e fatta, ma, dal momento che non hanno alcuna idea di che cosa sia la verità, non son capaci né di riconoscerla né di captarla: succede allora che la vedano in qualunque cosa capiti loro sotto mano, e diventano vittime di qualsiasi illusione. Wundt sorse dapprima per preconizzare la psicologia «senz'anima», ed ebbe così inizio la migrazione degli apparecchi scientifici dai laboratori di fisiologia e quelli degli psicologi. Quale fierezza! Quale gioia! Gli psicologi hanno dei laboratori e pubblicano delle monografie ... Son finite le dispute verbali: calculemus! Si impostano dei logaritmi tirati per i capelli, e Ribot si mette a calcolare il numero delle cellule cerebrali per sapere se sono sufficienti per ospitare tutte le idee. La psicologia scientifica è nata. Ma, in realtà, quale miseria! È il formalismo più insipido che viene ad aver la meglio, in favore di un compiacimento universale e con gli applausi di tutti coloro che della scienza altro non conoscono che i luoghi comuni della metodologia. Certo, in apparenza, gli psicologi in questione hanno reso un servizio alla psicologia combattendo tutto il vecchiume parolaio della «psicologia razionale», ma, in realtà, non hanno fatto altro che costruirle un rifugio nel quale, al riparo della critica, essa aveva ancora qualche possibilità di sopravvivere.

Una volta giunti a misurare al millesimo di secondo le associazioni, si cominciava a sentire un po' di spossatezza. I «riflessi condizionati», per fortuna, sono venuti a ravvivare la fede. Che scoperta! E agli psicologi meravigliati Bechterev presenta la «Psicoriflessologia». Ma anche questo movimento si assopisce. In seguito, arrivano ora l'afasia, ora la teoria psicologica delle emozioni, ora le ghiandole a secrezioni interne a far rinascere le grandi speranze deluse, ma non ci troviamo di fronte ad altro che alla tensione e al rilassamento di un desiderio importante, perché chimerico, e, allo stesso tempo, dopo ogni periodo di agitazione «oggettivista», ricompare il mostro vendicatore dell'introspezione.

4. Così l'avvento della psicologia «sperimentale», lungi dal rappresentare un nuovo trionfo dello spirito scientifico, ne costituiva soltanto un'umiliazione. Invece di lasciarsi rinnovare da esso, e mettersi al suo servizio, si trattava, di fatto, di attingere un po' della sua vita per darla a vecchie tradizioni che ne erano ormai prive, e per le quali tale operazione costituiva l'ultima possibilità di sopravvivenza. È questo ciò che spiega il fatto che è riconosciuto oggi, e cioè che tutte le psicologie «scientifiche» che si sono succedute da Wundt in poi non sono altro che dei camuffamenti della psicologia classica. La stessa diversità delle tendenze non rappresenta altro che le successive reincarnazioni di quell'illusione che consiste nel credere che la scienza possa salvare la scolastica. In tutti i fatti di cui si sono impadroniti, fossero essi fisiologici o biologici, gli psicologi non hanno infatti mai cercato altro. Ed è questo che spiega anche l'impotenza del metodo scientifico nelle mani degli psicologi.

5. Gli scienziati formano, dal punto di vista della serietà con cui concepiscono il metodo scientifico, una vera e propria gerarchia. I matematici, visto che il loro mondo è quello della quantità, vi si muovono con naturale disinvoltura, e sono i soli a non trasformare il rigore in ostentazione. L'uso che i fisici fanno della matematica risente già a volte del fatto che questa non è altro, per essi, che un abito preso a nolo, l'orizzonte puro della matematica può restare loro inaccessibile ed essi sono spesso limitati. Ma tutto ciò è nulla a confronto di ciò che succede al piano di sotto.

I fisiologi hanno già una tremenda propensione per la magia delle cifre e, in essi, l'entusiasmo per la forma quantitativa delle leggi è soltanto, spesso, l'adorazione di un feticcio. Questa balordaggine, tuttavia, non può far dimenticare la fondamentale serietà della sostanza dell'argomento. Quanto agli psicologi, essi ricevono la matematica di terza mano: la ricevono dai fisiologi, che a loro volta l'hanno ricevuta dai fisici i quali, finalmente, l'hanno appresa dagli stessi matematici. Ora, ad ogni passaggio, il livello dello spirito scientifico subisce un abbassamento, e quando, alla fine, la matematica arriva agli psicologi, questi scambiano quel «po' di rame e di vetro», cui essa è ridotta, «per oro e diamanti».

Ed è la stessa cosa per il metodo sperimentale. Solo il fisico ne ha una visione seria; solo lui non ci gioca, solo tra le sue mani esso rimane sempre una tecnica razionale senza mai degenerare in magia. Il fisiologo ha già una forte tendenza alla magia: con lui il metodo sperimentale degenera spesso in pompa sperimentale. Ma che dire dello psicologo? Con lui tutto è pompa. Ad onta di tutte le sue proteste contro la filosofia, non gli riesce di vedere la scienza se non attraverso i luoghi comuni che quella gli ha insegnato al riguardo. E visto che gli è stato detto che la scienza è fatta di pazienza, che è sulle ricerche di dettaglio che si sono edificate le grandi ipotesi, crede che la pazienza sia un metodo in se stessa, e che è sufficiente andare alla cieca alla ricerca di dettagli per attirare il Messia sintetico. Si mette allora a trafficare in mezzo agli apparecchi, si butta ora sulla fisiologia, ora sulla chimica, ora sulla biologia; ammucchia medie statistiche ed è convinto che, per acquisire la scienza, così come per acquisire la fede, occorra istupidire.

Occorre dirlo chiaramente: gli psicologi sono scientifici allo stesso modo in cui i selvaggi evangelizzati sono cristiani.

6. La negazione radicale della psicologia classica, introspezionistica o sperimentale, che si trova nel behaviorismo di Watson, è una scoperta importante. Significa precisamente la condanna di quello stato d'animo che consiste nel credere alla magia della forma senza capire che il metodo scientifico esige una radicale «riforma dell'intelletto». Non si può, infatti, qualunque sia la sincerità di intenzioni e la volontà di precisione, trasformare la fisica di Aristotele in fisica sperimentale. È la sua natura che vi si rifiuta, e sarebbe assolutamente illegittimo fare affidamento, a proposito di un simile tentativo, sui perfezionamenti del futuro.

7. La storia della psicologia negli ultimi cinquantanni non è dunque, come ci si compiace d'affermare all'inizio dei manuali di psicologia, la storia di una organizzazione, ma quella di una dissoluzione. E fra cinquanta anni la psicologia autenticamente ufficiale di oggi darà la stessa impressione che a noi danno ora l'alchimia e le elucubrazioni verbali della fisica peripatetica. Ci si gingillerà ancora con le formule risonanti con cui hanno debuttato gli psicologi «scientifici», e con le penose teorie che ne sono risultate; con gli schemi statici e con gli schemi dinamici, e la teologia del cervello sarà uno studio altrettanto ameno quanto l'antica teoria dei temperamenti: ma alla fine tutto ciò sarà relegato nella storia delle dottrine incomprensibili, e ci si stupirà, come facciamo oggi per la scolastica, della loro persistenza.

Allora si capirà ciò che ora sembra inverosimile, e cioè che il movimento psicologico contemporaneo non è altro che la dissoluzione del mito della doppia natura dell'uomo.

L'instaurarsi della psicologia scientifica presuppone precisamente questa dissoluzione. Tutte le articolazioni introdotte in questa credenza primitiva da una elaborazione nozionale devono scomparire ad una ad una, e la dissoluzione deve procedere a tappe: ma oggi dovrebbe già essere terminata. Solo che la sua durata fu prolungata in modo considerevole dalla possibilità che era stata offerta alle tesi morte di rinascere grazie al rispetto da cui i metodi scientifici erano circondati.

8. Ma finalmente è giunto anche il momento della liquidazione definitiva di tutta questa mitologia. La dissoluzione non può più, oggi, assumere le sembianze della vita, e si può riconoscere ora con certezza che la fine è davvero venuta. La psicologia si trova attualmente, infatti, nello stesso stato in cui si trovava la filosofia al momento dell'elaborazione della Critica della ragion pura. La sua sterilità è manifesta, i suoi procedimenti costitutivi vengono messi a nudo, e mentre gli uni si rinchiudono in una scolastica impressionante per la sua messinscena, ma che non fa un solo passo avanti, gli altri si gettano in soluzioni disperate. Si sente a volte anche un soffio nuovo: si vorrebbe già aver vissuto tutto questo periodo della storia della psicologia, ma si ricade costantemente nelle fantasie scolastiche. Manca dunque qualcosa: il riconoscimento esplicito del fatto che la psicologia classica non è nient'altro che l'elaborazione nozionale di un mito.

9. Questo riconoscimento non deve essere una critica del genere di quelle di cui pullula la letteratura psicologica, e che mostrano ora il fallimento della psicologia soggettiva, ora quello della psicologia oggettiva, e che auspicano periodicamente il ritorno dalla tesi all'antitesi e dall'antitesi alla tesi. Non bisogna, di conseguenza, istituire una disputa che possa, ancora una volta, restare interna alla psicologia classica, e che ha il solo beneficio di fare girare la psicologia su se stessa. Quella che occorre è una critica rinnovatrice, una critica che, facendo superare, mediante la liquidazione esplicita del passato, il punto morto in cui si trova la psicologia, crei quella grande evidenza che si tratta di comunicare.

10. Contrariamente ad ogni speranza, non è certo coll'esercitare il metodo oggettivo che nasce quella visione della psicologia nuova che viene ipotizzata dalla critica in questione. Il risultato di tale esercizio è interamente negativo: esso è sfociato, infatti, nel behaviorismo. Watson ha riconosciuto appunto che la psicologia oggettiva classica non è oggettiva nel vero senso della parola, dal momento che egli ha affermato, dopo cinquant'anni di psicologia scientifica, che per la psicologia era giunta l'ora di diventare una scienza positiva. Ora, il behaviorismo segna il passo, o, piuttosto, gli è successa una disgrazia assai più grande. I behavioristi, dapprima affascinati dalla nozione di behavior, hanno finito con lo scoprire che il behaviorismo conseguente, quello di Watson, è privo di qualsiasi sbocco, e, rimpiangendo le marmitte della psicologia introspettiva, fanno ritorno, col pretesto del «behaviorismo non fisiologico», a nozioni prettamente introspettive, oppure, ancora, si limitano semplicemente a tradurre in termini di behavior le nozioni della psicologia classica. Si ha allora il rammarico di constatare che, almeno per taluni, il behaviorismo non è servito ad altro che a dare una nuova forma all'illusione dell'oggettività. (II manuale di Warren è molto significativo da questo punto di vista.)

Il behaviorismo presenta allora il seguente paradosso: per affermarlo sinceramente, bisogna rinunciare a svilupparlo, e per poterlo sviluppare, bisogna rinunciare alla sua sincera affermazione; e ciò lo priva di qualsiasi ragion d'essere.

Tutto ciò d'altronde non deve meravigliare. La verità del behaviorismo è costituita dal riconoscimento del carattere mitologico della psicologia classica, e la nozione di behavior non è valida se non in quanto la si consideri nel suo schema generale, anteriormente all'interpretazione che ad essa danno i watsoniani e gli altri. Cinquant'anni di psicologia scientifica non hanno dunque potuto approdare a null'altro che all'affermazione secondo cui la psicologia scientifica sta soltanto per incominciare.

11. La psicologia oggettiva classica non poteva sfociare in nessun altro risultato. Essa non è mai stata qualcosa di diverso dall'impossibile volontà della psicologia introspettiva di diventare una scienza della natura, e non rappresenta altro che l'omaggio di quest'ultima al gusto dell'epoca. Vi fu un momento in cui la stessa filosofia, e persino la metafisica, vollero diventare «sperimentali», ma nessuno ha mai preso la cosa troppo sul serio. La psicologia, invece, è riuscita ad infinocchiare il prossimo. Infatti, non è mai esistita una psicologia oggettiva che fosse diversa da quella psicologia che si faceva finta di negare. Gli psicologi sperimentali non hanno mai avuto idee loro proprie, ma hanno sempre utilizzato il vecchio arsenale della psicologia «soggettiva». E ogni volta che si è scoperto che una certa tendenza è stata vittima di questa illusione, si è ricominciato in un'altra direzione credendo di poter far meglio pur continuando a partire dai medesimi principi. Ecco perché questi ricercatori, ai quali il metodo scientifico doveva mettere le ali ai piedi, si sono sempre trovati in ritardo nei confronti degli psicologi introspezionisti, dal momento che, mentre i primi erano indaffarati a tradurre in formule «scientifiche» le idee di questi ultimi, costoro non avevano da fare nient'altro che riconoscere le proprie illusioni. Ed ora la psicologia sperimentale giunge solamente a riconoscere il proprio nulla, e la psicologia introspezionista è sempre al punto delle sue meravigliose e commoventi promesse, mentre in alcuni psicologi, che si disinteressano sia della fisiologia delle sensazioni che dei laboratori classici o del «divenire mobile» della coscienza, appare, insieme ad una chiara visione degli errori, l'indicazione di una direzione realmente feconda.

12. È alla luce di quelle tendenze che cercano di sottrarsi all'influenza dei problemi e delle tradizioni sia della psicologia soggettiva che di quella oggettiva che devono precisarsi tanto l'aspetto positivo quanto quello negativo della critica che noi intraprendiamo. Poiché se è vero che questa critica non deve essere il risultato di un lavoro puramente nozionale, nondimeno è necessario, perché essa sia valida, iniziarla «partendo dal basso». Infatti è suo compito battersi contro il tronco, contro l'ideologia centrale della psicologia classica. Non si tratta di potare dei rami, ma di abbattere un albero. Non si tratta nemmeno di condannare tutto in blocco: vi sono dei fatti che sopravviveranno alla morte della psicologia classica, ma soltanto la nuova psicologia potrà conferire loro quello che è il loro vero significato.

13. Ciò che vi è di più notevole in tutta la storia della psicologia non è né questa oscillazione attorno ai due poli dell'oggettività e della soggettività, né la mancanza di genio che caratterizza il modo in cui gli psicologi si servono del metodo scientifico, ma il fatto che la psicologia classica non rappresenta neppure la forma falsa di una scienza vera, dal momento che è la scienza stessa ad essere falsa, in modo radicale, e mettendo da parte ogni questione di metodo. Il paragone che si fa fra la psicologia e la fisica di Aristotele non è del tutto esatto, poiché non si può neppur dire che la psicologia sia falsa in quello stesso modo, ma è falsa allo stesso modo in cui lo sono le scienze occulte: lo spiritismo e la teosofia, che ostentano anch'essi una forma scientifica.

Le scienze della natura che si occupano dell'uomo non esauriscono certamente tutto quello che si può imparare a proposito di quest'ultimo. Il termine «vita» designa un fatto «biologico», ma allo stesso tempo anche la vita propriamente umana, la vita drammatica dell'uomo. (Sia inteso, una volta per tutte, che con il termine «dramma» noi vogliamo designare un fatto, e che facciamo totalmente astrazione dalle risonanze romantiche di questa parola. Preghiamo quindi il lettore di abituarsi a questa semplice accezione del termine e di dimenticare il suo significato «emotivo».) Questa vita drammatica presenta tutte le caratteristiche che rendono suscettibile un dato campo di venire studiato scientificamente. Ed allora, anche se la psicologia non esistesse, in nome di questa possibilità occorrerebbe inventarla. Ora, le riflessioni su questa vita drammatica non sono riuscite a trovare un posto se non nella letteratura e nel teatro, e benché la psicologia classica affermi la necessità di studiare i «documenti letterari», non è mai esistita, di fatto (a parte la psicanalisi) , una loro vera e propria utilizzazione, indipendente dagli scopi astratti della psicologia. E così, invece di poter trasmettere alla psicologia quel tema concreto che si era rifugiato in essa, è la letteratura che, al contrario, ha finito col subire l'influenza della falsa psicologia: i letterati si sono creduti in dovere, nella loro ingenuità e nella loro ignoranza, di prendere sul serio la «scienza» dell'anima.

Comunque sia, la psicologia ufficiale deve la sua nascita a delle ispirazioni radicalmente contrapposte a quelle che possono, da sole, giustificarne la sua esistenza, e, cosa ancor più grave, essa si nutre esclusivamente di tali ispirazioni. Essa non rappresenta altro, infatti, per dirla con parole crude, che un'elaborazione nozionale della credenza generale dei demoni, cioè della mitologia dell'anima da un lato, e, dall'altro, del problema della percezione quale esso si pone dinanzi alla filosofia antica. Quando i behavioristi affermano che l'ipotesi della vita interiore rappresenta un residuo di animismo, essi indovinano perfettamente il vero carattere di una delle tendenze la cui fusione ha dato origine alla psicologia attuale.

Si tratta di una storia assai istruttiva, ma a raccontarla si oltrepasserebbero i limiti del presente studio. Si può dire, grosso modo, che l'atteggiamento mistico e «pedagogico» di fronte all'anima, i miti escatologici, incorporati nel cristianesimo, hanno subito, a un certo punto, una caduta, e si sono trovati improvvisamente abbassati al livello di uno studio dogmatico ispirato da un realismo barbaro, che va così ad imbattersi nell'ispirazione del trattato aristotelico sull'anima. E mentre questo studio doveva servire da una parte alla teologia, esso ha tentato, dall'altra, di costituirsi un contenuto, attingendo indistintamente alla teoria della conoscenza, alla logica ed alla mitologia. Si è venuto così formando un tessuto di temi e di problemi abbastanza delimitati da poter costituire una parte denominabile della filosofia. Si può affermare che, fin dalla sua formazione, l'insieme era completo, e, in ogni caso, non è stata fatta fino ai nostri giorni alcuna scoperta psicologica che sia degna di questo nome: il lavoro psicologico a partire da Gocklen, o, se si preferisce, dopo Christian Wolff, non è mai stato altro che nozionale, cioè lavoro di elaborazione, di articolazione, in una parola la razionalizzazione di un mito, e, finalmente, la sua critica.

14. La critica kantiana della «psicologia razionale» avrebbe già dovuto rovinare definitivamente la psicologia. Avrebbe potuto determinare immediatamente un orientamento verso il concreto, verso la vera psicologia che, sotto la forma umiliante della letteratura, fu esclusa dalla «scienza». Ma la Critica non ha esercitato un simile effetto. Essa ha, certamente, eliminato la nozione di anima, ma dal momento che la confutazione della psicologia razionale non è altro che un'applicazione della critica generale alle cose in sé, sembra derivarne, per la psicologia, un «realismo empirico» parallelo a quello che prevale nella scienza dopo la rovina della cosa in sé. E poiché l'interpretazione corrente lascia cadere quell'idea straordinariamente feconda dell'anteriorità dell'esperienza esterna nei confronti di quella interna, e mantiene soltanto il loro parallelismo, la Critica della ragion pura sembra consacrare l'ipotesi della vita interiore. Il vecchio bagaglio della psicologia è potuto sopravvivere, ed è su di esso che si sono imbattute le esigenze che erano di moda nel XIX secolo: esperienza e calcolo. È allora che comincia la storia pietosa, il Carmen Miserabile.

15. Il culto dell'anima è essenziale per il Cristianesimo. L'antico tema della percezione non sarebbe mai stato sufficiente per generare la psicologia: la forza di quest'ultima proviene essenzialmente dalla religione. La teologia dell'anima, una volta costituitasi in tradizione, è sopravvissuta al Cristianesimo, e continua a vivere tuttora con gli stessi ordinari nutrimenti di tutte le scolastiche. Il rispetto di cui essa è riuscita a circondarsi grazie al travestimento scientifico le ha permesso di vegetare ancora per un po' di tempo, ed è riuscita a sopravvivere a se stessa grazie a questo artificio.

Sarebbe tuttavia errato dire che la psicologia classica si nutre soltanto del passato. Essa è riuscita, al contrario, a raggiungere certe esigenze moderne: la vita interiore, nel senso «fenomenista» della parola, è riuscita, infatti, a diventare un «valore». L'ideologia della borghesia non sarebbe stata completa se non avesse trovato la sua mistica. Dopo diversi tentennamenti, sembra che ora l'abbia trovata: nella vita interiore della psicologia. La vita interiore si adatta perfettamente a questo scopo. La sua essenza è la stessa essenza della nostra civiltà, cioè l'astrazione: essa si occupa soltanto della vita in generale e dell'uomo in generale, e i «saggi» del giorno d'oggi sono felici di ereditare una simile concezione aristocratica dell'uomo con un fascio di problemi di alto rango.

La religione della vita interiore sembra essere, per di più, il miglior mezzo di difesa contro i pericoli di un vero rinnovamento. Dal momento che essa non implica l'attaccamento ad alcuna verità determinata, ma semplicemente un gioco disinteressato con le forme e con le qualità, dà l'illusione della vita e del progresso «spirituale», mentre l'astrazione, che ne è l'essenza, rappresenta l'arresto di ogni vera vita; poiché essa si commuove soltanto della propria profondità, non è che un eterno pretesto per ignorare la verità.

Ecco perché la vita interiore viene predicata da tutti coloro che vogliono accattivarsi le volontà di rinnovamento prima che esse abbiano potuto dedicarsi a quello che è il loro vero oggetto, affinché la golosità delle qualità sostituisca la comprensione della verità. Ecco altresì la ragione per cui tutti coloro che sono troppo deboli per mostrarsi «difficili» si aggrappano alla corda che viene loro gettata: una simile offerta di poter raggiungere la propria salvezza pur continuando a credersi il centro del mondo appare veramente irresistibile ...

16. La psicologia classica è dunque doppiamente falsa: falsa dinanzi alla scienza e falsa dinanzi allo spirito. Quanto si sarebbero rallegrati di vederci rimanere soli con la nostra condanna della vita interiore! E con quale piacere ci avrebbero mostrato le «basi scientifiche» della falsa saggezza! Tutte queste «filosofie della coscienza che si gingillano con le nozioni attinte dalla psicologia, tutte queste saggezze che invitano l'uomo ad approfondire se stesso, proprio nel momento in cui bisogna appunto obbligarlo a uscire dalla sua forma attuale, avrebbero potuto continuare a vedere con grande soddisfazione l'affermarsi della legittimità dei loro procedimenti fondamentali anche nella psicologia. Ora, nei fatti, le due condanne si ricongiungono. La falsa saggezza seguirà nella tomba la falsa scienza: i loro destini son legati ed esse morranno insieme, dal momento che l'astrazione muore. È la visione dell'uomo concreto che la scaccia da entrambi questi campi.

17. Tale accordo non deve tuttavia costituire una ragione valida per confondere fra loro le due condanne. È molto più efficace tenerle separate e dedurre la condanna dell'astrazione dalla stessa psicologia. Ora, questa condanna appare nella psicologia come la più tecnica, e viene pronunciata da autori che ignorano tutto delle nostre esigenze. Soltanto che questo incontro, per essere felice, non ha nulla di fortuito: la verità lavora contemporaneamente in tutti i campi ed i suoi diversi bagliori finiscono col congiungersi in un'unica verità.

Dal momento che noi vogliamo separare le due condanne in questione in linea di principio, bisogna anche separarle materialmente. Ecco perché bisogna cominciare col fissare il senso della dissoluzione della psicologia classica, dedicandoci allo studio di quelle tendenze che, pur completando la dissoluzione, annunciano già la psicologia nuova.

18. A questo proposito possono avere importanza tre tendenze: la psicanalisi, il behaviorismo e la Gestalttheorie. Il valore della Gestalttheorie è grande, soprattutto dal punto di vista critico: essa implica la negazione di quel procedimento fondamentale della psicologia classica che consiste nel rompere la forma delle azioni umane per tentare in seguito di ricostituire la totalità, che è significato e forma, partendo da elementi privi di significato e amorfi. Il behaviorismo conseguente, quello di Watson, riconosce il fallimento della psicologia oggettiva classica, e apporta, con l'idea di behavior, qualunque sia in ultima analisi la sua interpretazione, una definizione concreta del fatto psicologico. Ma la più importante delle tre tendenze è incontestabilmente la psicanalisi. È questa che ci dà la visione veramente chiara degli errori della psicologia classica, e che ci fa intravedere fin d'ora la psicologia nuova già in vita e in azione.

Ma oltre la verità, queste tre tendenze racchiudono ancora l'errore sotto tre aspetti diversi, e conducono perciò i loro discepoli su strade che allontanano nuovamente la psicologia dalla sua vera direzione.

La Gestalttheorie, nel senso largo della parola (ed includendovi Spranger), si abbandona, da un lato, come Spranger, a costruzioni teoriche, e sembra, d'altra parte, che non possa liberarsi dalle preoccupazioni della psicologia classica.

Il behaviorismo è sterile, oppure ricade nella fisiologia, nella biologia, e persino nell'introspezione più o meno mascherata, invece di dimenticarsi realmente di tutto per non dedicarsi ad altro che alle sorprese dell'esperienza.

Quanto alla psicanalisi, essa si è trovata talmente sopraffatta dall'esperienza — la quale, finalmente consultata, non chiedeva altro che di poter parlare — che non ha avuto il tempo di accorgersi che essa nasconde nel proprio seno quella vecchia psicologia che essa ha appunto il compito di sopprimere, e, per un altro verso, essa alimenta con la propria forza un romanticismo senza interesse e delle speculazioni che servono soltanto a risolvere dei problemi antiquati.

D'altronde, e in modo generale, la maggior parte degli autori osano pronunciare la condanna della psicologia classica o soltanto in modo implicito, oppure con una certa timidezza. Sembra che essi vogliano preparare il lavoro per quelli che vedono la salvezza nella conciliazione dei contrari, senza accorgersi che si trovano ancora una volta dinanzi ad una illusione, poiché è impossibile giustapporre fra loro delle tendenze ognuna delle quali, a proposito dell'altra, o delle altre, solleva delle questioni pregiudiziali. (Freud, per esempio, si incarica lui stesso, come si vedrà più innanzi, di ricondurre la psicanalisi alla psicologia classica.) Quanto a coloro i quali, come Watson e i suoi discepoli, osano pronunciare la condanna in modo franco, le loro affermazioni circa la falsità della psicologia classica e le ragioni di questa falsità sono così poco articolate che non hanno potuto impedire neppure ai loro autori di ricadere negli atteggiamenti condannati, e così le loro dichiarazioni stanno a una vera critica dei fondamenti della psicologia come le riflessioni generali sulla debolezza dell'«intelletto umano» stanno alla Critica della ragion pura.

19. La critica della psicologia, per essere efficace, dev'esser fatta senza mezzi termini, e non dovrà portare rispetto se non a ciò che è veramente rispettabile: aver troppi riguardi, aver paura di sbagliare a dire tutto quel che si pensa o tutto ciò che il proprio pensiero comporta, non fa altro che prolungare il cammino con il solo beneficio della confusione.

Questa timidezza di cui si parla si può spiegare bene, è vero, col fatto che è realmente difficile sottrarsi a quella psicologia che ci ha tenuti prigionieri così a lungo. Gli schemi che essa ci fornisce non ci sembrano indispensabili soltanto dal punto di vista pratico; essi sono, per di più, così profondamente radicati in noi che ricompaiono nel bel mezzo degli sforzi più sinceri che noi facciamo per liberarcene, e allora può facilmente accadere di scambiare la tenacia con la quale essi ci perseguitano con una insormontabile evidenza. È così, ad esempio, che a noi sembra a tutta prima impossibile a concepirsi l'affermazione secondo cui la vita interiore non esiste più di quanto esistano gli spiriti animali, e secondo cui le nozioni attinte dalla vita interiore esistono talmente poco che è persino del tutto inutile tradurle in termini di behavior. Ma stiamo attenti: ci troviamo di fronte alla tentazione che è propria delle vecchie evidenze. La critica consiste appunto nello smontarle pezzo per pezzo per mettere a nudo i processi che le costituiscono e i postulati impliciti che in esse si racchiudono. Ecco perché essa non deve, sotto pena di restare inefficace, fermarsi a delle affermazioni generali che condannino soltanto senza eseguire: la critica deve giungere sino all'esecuzione. E ciò non avverrà senza incontrare difficoltà. Ci si chiederà ad ogni passo se si ha il diritto di sgomberare il terreno da questa o da quella evidenza, da questo o da quel problema. Ma non bisogna mai dimenticare che, per il momento, la nostra «sensibilità» è falsata, e che, appunto, solo continuando noi potremo acquisire una visione giusta che ci permetterà di riconoscere ciò che deve essere salvato, ed allora vedremo quanto quelle evidenze le quali, da vicino, sembrano insormontabili, lo siano assai poco se guardate un po' più da lontano.

20. In breve, per ritornare alle tendenze di cui abbiamo parlato, l'insegnamento che esse comportano per la psicologia rischia veramente di affondare a causa della nostalgia che richiama al passato i loro sostenitori, e perché una liquidazione radicale della psicologia classica non permette loro di liberarsene per sempre. Ecco perché, allo scopo di cogliere l'insegnamento in tutta la sua portata e in tutto il suo rigore, noi ci accingiamo a dedicare uno studio ad ognuna delle tendenze che abbiamo menzionato. Si tratterà di studi preliminari che devono essere il preludio della critica stessa, e che le illumineranno il cammino sul piano delle sue articolazioni fornendole anche i pezzi costitutivi; essi formeranno i Matériaux pour la critique des fondements de la psychologie l. E la critica stessa, nella quale il problema che noi abbiamo posto verrà trattato in se stesso e in modo sistematico, deve essere contenuta nell'Essai critique sur les fondements de la psychologie che seguirà i Matériaux. Questo carattere preparatorio e, di conseguenza, provvisorio, dei Matériaux non lo si deve mai dimenticare-, essi non contengono ancora la critica, ma rappresentano soltanto i primi utensili ancora grossolani con l'aiuto dei quali dovranno essere forgiati gli strumenti stessi.

21. Questa ricerca cui ci accingiamo con i Matériaux non può essere neppure essa, beninteso, compiuta nel vuoto. Non abbiamo nessuna pretesa di esaminare le tendenze in questione senza idee preconcette, «candidamente». Affermazioni di questo genere possono essere sincere, ma non sono mai vere, poiché non esiste vera critica senza il presentimento della verità. Tutto il problema consiste nel sapere qual'è la fonte di tale presentimento.

Per quanto ci riguarda, noi abbiamo intravisto la vera psicologia riflettendo sulla psicanalisi. Si sarebbe potuto trattare di un caso, ma non è così, dal momento che, anche per diritto, soltanto la psicanalisi può dare oggi la visione della vera psicologia, visto che soltanto essa ne è già un'incarnazione. I Matériaux devono dunque iniziare con l'esame della psicanalisi: si tratterà, ricercando l'insegnamento che la psicanalisi implica per la psicologia, di ottenere delle precisazioni che ci permetteranno di non dimenticare l'essenziale nell'esame delle altre tendenze.

22. La prima ondata di protesta che l'apparizione della psicanalisi ha scatenato sembra essersi ora appianata, anche se l'abbiamo vista tornare furiosamente alla ribalta ancora recentemente in Francia, e i rapporti fra la psicologia classica e la psicanalisi sono ora meno tesi. Questo cambiamento di atteggiamento, che può essere interpretato come una vittoria della psicanalisi, rappresenta, per gli psicologi, soltanto un cambiamento di tattica. Ci si è resi effettivamente conto che il primo modo di combattere la psicanalisi, in nome cioè della morale e delle convenienze, equivaleva a consegnare il terreno in mano agli psicanalisti senza combattere, mentre è assai più elegante, ed anche più efficace, mediante una prova di liberalità — che consiste nel dare a Freud il posto che gli spetta nella psicologia, nel capitolo sull'inconscio — riservarsi il diritto di esprimere, a proposito della psicanalisi, quelle riserve che vengono suggerite direttamente dalla «scienza». Si tratta dunque facendo alcuni paralleli, di far ricadere su Freud tutto il disprezzo che si prova attualmente per certe tendenze, ed allora si sostiene che la psicanalisi non è altro che una reincarnazione della vecchia psicologia associazionista; si sostiene che è interamente basata sulla psicologia della Vorstellung, ecc.

23.Per quanto riguarda, d'altra parte, i suoi partigiani, essi non riescono a vedere nella psicanalisi altro che libido e inconscio. Infatti Freud è per essi il Copernico della psicologia perché è il Cristoforo Colombo dell'inconscio, e la psicanalisi, secondo loro, lungi dal far rivivere la psicologia intellettualista, si ricollega, al contrario, a quel grande movimento che prende forma a partire dal XIX secolo e che sottolinea l'importanza della vita affettiva; la psicanalisi costituisce addirittura, con la teoria della libido, la priorità del desiderio sul pensiero intellettuale, in breve con la teoria dell'inconscio affettivo, il coronamento di tutto questo movimento.

24. Non è difficile accorgersi come questa immagine che della psicanalisi danno i suoi sostenitori, e che è divenuta classica, vada esattamente nella stessa direzione dei desideri della psicologia classica, e l'aiuti a ristabilire il proprio equilibrio dopo lo scossone ricevuto dalla psicanalisi. Attribuendo infatti a Freud soltanto i meriti classici di Colombo e di Copernico, la psicanalisi diventa semplicemente un progresso che è stato realizzato all'interno della psicologia classica; un semplice capovolgimento dei valori dell'antica psicologia, ma un capovolgimento del solo ordine gerarchico di tali valori; un insieme di scoperte che le categorie della psicologia ufficiale possono perfettamente ricevere, a condizione di dilatarsi un po' per ospitare tanta materia. Infatti ciò che viene rimesso in discussione da un discorso così impostato non è altro che un insieme di teorie e di atteggiamenti, e non l'esistenza stessa della psicologia classica.

Ora, di fatto, non ci troviamo di fronte ad una evoluzione, ma ad una rivoluzione, solo che è una rivoluzione un po' più «copernicana» di quanto non si creda: la psicanalisi, lungi dall'essere un arricchimento della psicologia classica, è appunto la dimostrazione della sua disfatta. Essa costituisce la prima fase della rottura con l'ideale tradizionale della psicologia, con le sue occupazioni e con le sue forze ispiratrici; la prima evasione dal campo d'influenza che la tiene prigioniera da secoli, nello stesso modo in cui il behaviorismo è il presentimento della prossima rottura con le sue nozioni e con le sue concezioni fondamentali.

25. Se gli psicanalisti collaborano così con i loro avversari nell'opera di canalizzazione della rivoluzione psicanalitica, ciò è dovuto al fatto che essi hanno conservato, in fondo a se stessi, una «fissazione» all'ideale, alle categorie e alla terminologia della psicologia classica. Per di più è incontestabile che l'ossatura teorica della psicanalisi sia piena di elementi attinti dalla vecchia psicologia della Vorstellung.

I fautori della psicologia classica, però, avrebbero fatto meglio a non sfruttare questo argomento. Volendo infatti confondere l'interno con la facciata, essi non fanno altro che attirare l'attenzione sull'incompatibilità, nella psicanalisi, fra l'ispirazione fondamentale e le teorie nelle quali essa si incarna, ed in tal modo si scavano la fossa. Infatti, alla luce di questa ispirazione fondamentale, balza evidente l'astrazione della psicologia classica, e appare allora chiara quale sia la vera incompatibilità, che non è quella fra la psicanalisi ed una certa forma della psicologia classica, ma quella fra la psicanalisi e la psicologia classica in generale. Per di più, grazie alla stessa natura di questa incompatibilità, ogni passo che viene fatto innanzi nella comprensione dell'orientamento concreto della psicanalisi ha come contropartita la rivelazione di un procedimento costitutivo della psicologia classica, e, proprio per questo fatto, il modo in cui Freud esprime le sue scoperte nel linguaggio e secondo gli schemi tradizionali non è altro che un caso privilegiato che ci permette di osservare come la psicologia fabbrichi i propri fatti e le proprie teorie.

Comunque sia, non basta fare a Freud un vago rimprovero d'intellettualismo o di associazionismo: bisogna poter mettere in risalto con precisione i procedimenti che giustificano un simile rimprovero. Soltanto, si sarà allora obbligati a riconoscere, alla luce del vero senso della psicanalisi, che questi procedimenti, dei quali con tanto orgoglio si è celebrata la falsità, non sono altro, in realtà, che i procedimenti costitutivi della psicologia stessa, e il rimprovero di cui si è parlato prima si rivelerà soltanto come un caso particolare di quell'illusione che non cessa di perseguitare gli psicologi, e che consiste nel credere di aver cambiato l'essenza delle cose quando non si è fatto altro che cambiarne l'abito ...

26. Noi vogliamo andare alla ricerca dell'insegnamento che la psicanalisi fornisce alla psicologia, dimostrando la validità delle affermazioni precedenti. Si tratterà dunque, da un lato, di liberare la psicanalisi dai pregiudizi di cui la circondano i suoi sostenitori e i suoi avversari, ricercando quella che è la sua vera ispirazione, e contrapponendo costantemente quest'ultima ai procedimenti costitutivi della psicologia classica, dei quali essa è un'implicita negazione, e, dall'altro lato, di giudicare le costruzioni teoriche di Freud in nome di questa ispirazione, la qual cosa ci permetterà, nello stesso tempo, di cogliere sul vivo i procedimenti classici. Otterremo così non solo una precisa visione di quell'incompatibilità di cui abbiamo parlato prima, ma anche delle indicazioni importanti sulla psicologia futura.

Ma dal momento che l'analisi deve essere precisa, e che deve cogliere il modo stesso in cui si elabora e si costruisce la psicanalisi, abbiamo pensato che la miglior cosa sarebbe quella di studiare la teoria del sogno. Freud stesso infatti dice: «La psicanalisi si basa sulla teoria del sogno; la teoria psicanalitica del sogno rappresenta la parte più compiuta di questa giovane scienza» D'altronde, è proprio nella Traumdeutung che appare meglio quale sia il senso della psicanalisi, e vengono messi a nudo, con una cura ed una chiarezza straordinarie, quelli che sono i suoi procedimenti costitutivi.